lunedì 14 novembre 2011

Ritratto antiretorico del Risorgimento

di Mario Avagliano

Torino, 1° marzo 1861. Mancano poco più di due settimane alla dichiarazione dell’Unità d’Italia. I manuali, i quaderni e i sillabari sono già spalancati ad accogliere Vittorio Emanuele come loro venerato sovrano. Ma nello staff di casa Savoia ci si arrovella su una questione solo apparentemente di lana caprina. Si dovrà chiamarlo Primo oppure Secondo? E re d’Italia o re degli Italiani? Sarà pure una controversia formale, ma appassiona sia gli uomini della strada che le pensose diplomazie europee. Se dovessero mandare al nuovo re dei dispacci o degli incartamenti, che numero dovrebbero scrivere sulla busta?
È una delle pagine più gustose dei Taccuini del Risorgimento di Nello Ajello (Laterza, pp. 112, euro 14), diario minimo dell’ultimo mese che precedette la storica data del 17 marzo 1861, quando fu proclamato il Regno d’Italia. Un libretto agile e denso, costruito sulle corrispondenze dei giornali di quei giorni, con un prezioso apparato iconografico di vignette dell’epoca. Un divertissement d’autore, come avverte lo stesso Ajello, che tuttavia, grazie alla sua abilità di cronista e di intellettuale di razza, si trasforma in un ritratto veritiero e antiretorico di quel periodo storico e dello spirito del tempo.
Nelle pieghe disincantate dei Taccuini di Ajello, sfilano i personaggi che fecero l’Italia e i loro antagonisti. Vittorio Emanuele,  su cui la stampa diffonde ispirati aneddoti per magnificarne le doti e l’amabilità. Il generalissimo Giuseppe Garibaldi, il cui fascino, soprattutto al sud, suscita devozione popolare, con scene spinte “fino alle venerazione di un san Giuseppe laico”. L’ultimo dei Borbone, re Francesco II, che i napoletani chiamano Franceschiello e il padre amava definire “Lasagnone”, in quanto ghiotto di quel piatto, recatosi mestamente in esilio a Roma, ospite di Pio IX, e soprattutto la moglie Maria Sofia, Pussi nel soprannome domestico, sorella di quella Elisabetta, detta Sissi, andata sposa all'imperatore Francesco Giuseppe, che con molta più pertinacia del marito è diventata l'incarnazione delle rivendicazioni borboniche.
La cronaca è dominata dalla capitolazione di Gaeta, dalle notizie sulla strenua resistenza delle ultime roccaforti borboniche, Messina e Civitella del Tronto, ma anche dalle imprese dei briganti e dall’inaugurazione di nuove linee ferroviarie, simbolo della modernità. Da Milano parte un appello intitolato “Il richiamo dell’Esule”, che chiede la revoca della pena di morte che dal 1857 grava sul capo di Giuseppe Mazzini. L’enigmatico Pio IX, che prima aveva sollevato le speranze dei patrioti e ora trama per la restaurazione, si serve di un abate eretico per sondare gli umori e i progetti del conte di Cavour rispetto al ruolo che s’intende assegnare alla Chiesa. Cavour, peraltro, ha le sue gatte da pelare: i gossip della stampa inglese lo vogliono promesso sposo di una dama anglosassone.
Il “diario” di Ajello si chiude il 17 marzo, quando anche a Roma si festeggia la nuova Italia, non più un’espressione geografica ma una Nazione. Migliaia di coccarde, vessilli tricolori e stemmi con la croce di Savoia appaiono lungo le rive del Tevere e sui colli capitolini, nonostante l’opposizione della polizia papalina, che arresta alcuni manifestanti a Trastevere. Dimostrazioni si svolgono all’università, negli ospedali e all’Accademia di San Luca. Pio IX è furibondo e convoca il Concistoro, ma il corso della Storia non si ferma. Presto anche la Città Eterna diventerà Italia.

(Il Messaggero, 13 novembre 2011)

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