mercoledì 5 aprile 2017

L’Italia di Salò. 1943-1945 (Il Mulino)


Nei venti mesi che vanno dall’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, all’uccisione di Mussolini e alla fine della guerra, nell’aprile del 1945, l’Italia non solo continuò a essere un campo di battaglia tra eserciti stranieri – gli Alleati che avanzavano da sud e i tedeschi che occupavano il centro-nord – ma diventò anche teatro di una sanguinosa «guerra civile» e «contro i civili», che vide coinvolti su fronti opposti coloro diedero vita alla Resistenza e coloro che rimasero fedeli al fascismo, aderendo alla Repubblica di Salò.

Nel dopoguerra, però, il punto di vista resistenziale è stato oggetto di innumerevoli studi e ricerche e ha rappresentato una narrativa dominante. Al contrario, la vicenda dei tanti italiani che scelsero di combattere dalla parte sbagliata è rimasta a lungo marginale, finendo per rappresentare un vuoto, un autentico tassello mancante nel panorama storiografico e della memoria di quel complesso periodo, che segnò lo spartiacque tra la dittatura fascista e la democrazia. 

In particolare, restava ancora da scandagliare in profondità lo spettro delle motivazioni che indussero oltre mezzo milione di italiani – uomini e donne, spesso giovanissimi – ad aderire e combattere, in molti casi volontariamente, per la Rsi. Cosa che fa, in modo documentatissimo, il saggio storico L’Italia di Salò. 1943-1945 (Il Mulino, pp. 490, euro 28), di Mario Avagliano e Marco Palmieri.

Questa ricerca affronta sulla base delle fonti coeve disponibili – lettere, diari, testamenti ideologici, posta censurata, relazioni sul morale delle truppe e sullo spirito pubblico, notiziari della Gnr, note fiduciarie, carte di polizia e dei servizi segreti – e della memorialistica postuma, scevra dai condizionamenti politici che l’hanno caratterizzata e dalla pregiudiziale politico-ideologico-culturale che ha portato molti testimoni a tenere a lungo nascoste le tracce di un passato inconfessabile.

La cesura del 25 luglio prima e dell’8 settembre poi, infatti, per molti italiani non rappresentò un taglio netto con il precedente ventennio fascista, bensì una svolta in continuità, la cui naturale conseguenza fu la partecipazione all’esperienza della Rsi, che a sua volta non fu un evento senza propagazioni e conseguenze sulla storia politica e sociale del dopoguerra. Il ritorno sulla scena di Mussolini e la nuova chiamata alle armi, per continuare la guerra contro le potenze nemiche e intraprenderne una nuova contro i traditori, il nemico interno, i banditi, misero nuovamente gli italiani di fronte alla necessità di fare una scelta. Quali furono le principali motivazioni che animarono coloro che decisero di aderire? Quale fu il collegamento ideale col precedente regime? Quali aspettative si nutrivano nei confronti del nuovo fascismo. Perché molti giovanissimi compirono quella scelta? Che tipo di esperienza vissero sotto le armi coloro che combatterono per Salò? Cosa sapevano della Resistenza e come la giudicavano? Cosa percepivano e come metabolizzavano le stragi e le deportazioni razziali e politiche dei nazisti, alle quali molti di loro presero parte anche attiva? Quanti ebbero ripensamenti e per quale motivo? Chi rimase fedele alla causa fino alla fine e perché? 

A questi interrogativi Avagliano e Palmieri, attraverso una gran mole di documenti prima in gran parte inediti o poco noti, forniscono una risposta dal basso, passando in rassegna sia le diverse esperienze militari e combattentistiche di Salò (l’esercito nazionale formalmente apolitico, le milizie di partito quali la Guardia nazionale repubblicana e le Brigate nere, le formazioni relativamente autonome come la X Mas, le sanguinarie bande irregolari e chi militò direttamente con i tedeschi come le SS italiane), sia l’esperienza quasi del tutto dimenticata degli Imi che optarono, dei prigionieri di guerra degli Alleati che non accettarono di cooperare e dei fascisti clandestini che operarono dietro le linee nemiche nelle regioni già liberate dagli anglo-americani. Tra di loro ci furono anche molti italiani che nel dopoguerra diventeranno personaggi noti della politica, della cultura, del giornalismo, dello spettacolo e via dicendo.

Uno dei tratti salienti delle risposte fornite in sede di memoria successiva, escludendo quelle di stampo dichiaratamente rivendicativo o apologetico, è stato il carattere giustificativo. Spesso, cioè, rispetto alla messa a fuoco oggettiva delle ragioni che all’epoca portarono a fare quella scelta, ha prevalso il desiderio di farla apparire comprensibile e accettabile a coloro i quali non la vissero in prima persona o si schierarono su fronti opposti. Ma in realtà, come sostengono Avagliano e Palmieri, per una generazione di italiani cresciuta fin dalle aule scolastiche nel mito del duce e forgiata da slogan fideisti, come il famigerato Credere obbedire combattere, l’adesione alla Rsi e l’impegno nella guerra civile in molti casi fu una conseguenza naturale e ovvia di quel percorso formativo.

Inoltre dal saggio L’Italia di Salò emerge che la gran parte dei combattenti della Rsi, fossero essi reclute dell’esercito regolare formalmente apolitico o membri delle formazioni di partito fortemente ideologizzate, venne impiegata prevalentemente nella guerra civile e contro il nemico interno, e che i vertici politico-militari della Rsi, il suo apparato burocratico-amministrativo e molti uomini che militarono nelle sue forze armate e di polizia presero parte al clima di violenza indiscriminata, sommaria e diffusa contro i partigiani e la popolazione civile e all’opera di cattura e deportazione degli avversari politici (i triangoli rossi) e degli ebrei.

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